Diete tedesche

Dal contratto alla comunità

A chi come il presidente del Consiglio, teme che la comunità possa essere schiacciata dal contratto, dobbiamo ricordare, senza nessuna intenzione di dare lezioni, che le comunità, dall’inizio della società contemporanea, si fondano su un contratto. Per lo meno, questa è l’idea propulsiva che alla fine del 700 si opponeva a quella della semplice tirannia di un governo. Nella vecchia Europa, prima di aver posto a fondamento dello Stato una qualche forma di contratto sociale, vigeva solo l’assolutismo, esclusa l’ anomalia della monarchia costituzionale britannica che presenta una storia più complessa. Tranne la Svizzera, in Europa non c’era nessun tipo di governo che potesse considerarsi depositario della legge, indipendentemente dalla pura volontà del singolo sovrano. D’altra parte, nel corso del suo intervento al Senato, lo stesso premier ha detto di non accettare lezioni sul rispetto delle regole, perché considerava quelle stesse “un valore”. Per cui il presidente del Consiglio è al fondo pienamente consapevole dell’importanza del contratto che stabilisce queste regole, senza le quali non c’è nessuna comunità, e vigerebbe solo l’arbitrio di chi detiene il potere, esercitandolo come meglio crede. Se volessimo fare della filosofia della storia potremmo poi metterci a discutere di quando nonostante il contratto pattuito, la comunità possa costituirsi malamente, e anche della necessità di riaggiornare e modificare i contratti pattuiti secondo le esigenze più diverse. Ma nel caso concreto dell’Unione europea, anche se il contratto fosse sbagliato, questo è stato comunque sottoscritto spontaneamente dai paesi contraenti, che sono chiamati ad osservarlo, pena la loro credibilità. Se disfo un contratto sottoscritto, senza averlo mai rispettato, la cosa va da sé. Tutti ci rendiamo conto della necessità di voler cambiare una situazione ampiamente insoddisfacente, bisogna solo fare attenzione al rischio di denigrare le modalità di esistenza della Unione Europea, altrimenti sciolto il contratto, perderemmo anche la comunità. Una comunità, che fra l’altro, lo ha ribadito di recente il presidente della Commissione Junker, lascia un certo spazio di manovra per l’innovazione. Allora, i margini di flessibilità vanno misurati con una qualche prudenza, se non vogliamo ricadere in quel vizio del disavanzo che ha caratterizzato l’Italia per decenni. Il premier è convinto che i decreti attuativi siano diminuiti e con loro il deficit, speriamo, saremmo sulla buona strada. Una ragione di più per risparmiarsi polemiche inutili e dannose. Prima che il presidente del Consiglio parlasse al Senato il nuovo commissario alla spending review, Gutgeld, aveva detto in un intervista, che bisognava seguire una dieta e poi si poteva cambiare stile di vita. Giustissimo. Gli interventi del presidente del Consiglio negli ultimi tempi, almeno, sembravano più propensi all’idea che si volesse cambiare stile di vita senza aver rispettato alcuna dieta.

Roma, 18 febbraio 2016